L´incontro/scontro fra arte e fotografia è stato ormai coś intensamente indagato da poter fare a meno di altre intriganti sperimentazioni più o meno gratuite all´insegna di una ricerca il cui fondamento deve essere sempre ben meditato. Ma questo incontro/scontro va piuttosto valutato di volta in volta (e senza velleità polimiche) come conseguenza del fatto che è la casualità stessa, che così spesso caratterizza certi scontri fenomenici, a fornirci sempre nuove ragioni di riflessioni e di conseguente indagine.
Di qui le diatribe a non finire che fotografi e critici d´arte o di fotografia hanno dedicato al binomio in causa, soprattutto da quando quest´ultima ha preso piena coscienza della propia natura prospettica e incantatoria ad un tempo.
Toccò in ogni modo sempre ai fotografi costruire, mediante la loro lingua visionaria, nuove formule inventive viste come frutto di sempre nuovi concetti creati sotto l´azione di una sinergia di alto valore strutturale.
Questa indagine ci porta così diritto alla conclusione che è la fotografia ad aver inventato se stessa attraverso l´esercizio di una inesauribile elaborazione di immagine; tanto da arrivare ad inserirvi addirittura, come nel caso di cui ci stiamo occupando, un´inedita quando sorprendente azione "graffiante" per restare nella nomenclatura del nostro autore, lasciando alla metafora che vi è sottesa di esercitare a piacere la propia azione creativa.
Sensazioni queste che il fotografo PIETRINO DI SEBASTIANO ci porge dalle nutrite stampe del suo Portfolio affidate ad un conciso titolo "FOTOGRAFFI" che ne coglie in modo intelligente e aderente il messaggio fra invenzione e gioco, adottando una stratificazione grafico/concettuale di immagine concepita come base di azione di una soggettistica plurima e avvincente per disegno e portata cromatica.
Ma nella tecnica compositiva di Di Sebastiano non è il caso di vederci un fine a se stesso ad onta del richiamo ludico del titolo.
D´altra parte non sarebbe neppure il caso di tirare in ballo i famosi moduli di "actionpainting" cari al tedesco Hans Hartung perchè questi moduli pittorici sono per Hartung dei veri e propri protagonisti estetici, mentre i più disciplinati "graffi" di Di Sebastiano esercitano soprattutto funzione di strutture portanti su cui il fotografo ama tessere per sovrapposizione immagini diverse a titolo di doppia esposizione, ad uso di un´esigenza che serve una pluralità di concetti dove si celano fattori creativi letteralmente assorbiti dal contesto grafico. Di qui anche un richiamo al gioco, ma ricordandoci che in arte il gioco è sempre presente, se garba all´artista, come sottofondo. E sia detto anche per tutti quei fotografi che non avessero avvertito che la felicità di un´immagine fotografica possiamo trovarla (e con originalità) ben al di là della materialità di un soggetto, perchè la "tematicità" lavora ideologicamente in un altro mondo sempre ricco di fervori ingegnosi.
Ma vorrei ancora notare che i giochi "fotograffianti" di Di Sebastiano si manifestano soprattutto attraverso una necessità di titpo "agogico", termine che sta notoriamente di casa nella dinamica inventiva musicale. Perchè è proprio in virtù di una dinamicità analoga che il "graffio" del nostro fotografo acquista fascino e funzione architettonica fino a tradursi nel discorso fotografico uscito da un sentimento conturbante. Nascono così dalle ricerche del nostro Autore induzioni immaginifiche di forte presa interpretativa: alcune convincenti, altre forse meno. Ma come succede quasi sempre in questo terreno, è l´originalità dell´idea costruttiva che conta e, con essa, anche il senso del "graffio" che però da solo sarebbe solo una figura lessicale ausiliaria. Vale dunque come mezzo coadiutorio da non sopravalutare.
La fotografia ha esigenze che vanno ben oltre l´apparenza di comodo. Serve sempre una buona intelligenza di valutazione concreta, insieme ad una buona dose di fantasia.
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Egli ama chiamare i suoi lavori FOTOGRAFFI, ma, a ben guardare, ci sembra si possa andare ben oltre la semplice affermazione, anche perchè Pietrino Di Sebastiano usa la foto come strumento personale di quel racconto entro il quale le singole immagini sono strettamente funzionali all´idea del progetto stesso.
Partendo qundi dalle unili cose del quotidiano, riesce a sottrarci parvenze e assenze, indicandoci il variegato spettacolo del reale per tracce, orme, apparenze, con una visione sostitutiva che si perde ora in cromatismi teneri e dolci, ora più accesi e dal vago sapore metafisico, che, seppur contemplate dal mistero, evocano la consapevolezza del tutto, del positivo e del negativo, dei cicli dell´esistenza, e non possiamo non constatare che il suo professionismo e le sue "short stories" ci portano a capire, ad analizzare e a ricostruire la realtà di tutti i giorni al di fuori degli ormai superati concetti di contemplazione statica della vita.
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La suggestione che scaturisce dalle immagini di Pietrino Di Sebastiano viene subito trascurata a favore dell´artificio espressivo che l´autore pone, in modo fuorviante, come tematica essenziale del suo lavoro: foto-graffi.
Non è da ignorare il fatto che i graffi siano un intervento ritmico microgestuale in negativo su un supporto materico, con un qualche riferimento al linguaggio autre; ma essi tutto sommato tendono alla realizzazione di una mascherina, usata per sovrapporre poi la trasparenza ottenuta ad un negativo di base. Un simile artificio non sembra di per se legato a linguaggi contemporanei, essendo un epigono di effetti di trasparenze, velature, sovrapposizioni, da sempre usati in fotografia, con l´eccezione qui della connotazione frattale del tratto compositivo.
Invece e interessante la visione complessiva dei singoli lavori, poichè da un intervento così ben individuabile nella sua concezione tradizionale scaturisce un risultato nel quale sono riscontrabili elementi legati all´attualità postmoderna: complessità, trasversalità, rapporto artificio-figura, teatralità metaforica, fisicità degli elementi, delimitazioni frattale della visione, appunto. Le cose individuate - in Di Sebastiano non ci sono riferimenti ad oggetti come categorie mentali - non hanno un carattere metafisico e suscitano suggestioni con rimandi citazionisti a momenti esistenziali, più che a visioni trascendentali.
Che senso dare a una simile ricerca? Non è facile individuarlo ad un primo esame, anche se i lavori non sono privi di i immediatezza. Nella mostra teramana allestita presso "Fotogramma", Via dell'Arco, 3 Teramo, a cura dell'Associazione Fotografica "Camera Obscura", ed esposta per tutto il mese di maggio ´95, non c´è modo di conoscere la cronologia delle opere. Per cui la diversità dei temi trattati non può essere connessa ad un svolgimento espressivo, con conseguente impossibilità di una precisa ricerca di invarianti, necessaria a porre la basi di un´analisi fenomenologica.
Una sola considerazione ci sentiamo di effettuare. L´efficacia espressiva delle immagini è più pregnante nelle foto realizzate con un ristretto angolo di campo o con una rappresentazione di soli particolari, sia perchè in esse c´è una maggiore unità tra artificio e figura, sia perchè, pur non evidenziando misteri sottesi, il taglio personale della visione ha una magia ed una valenza evocativa che non attengono mai a moduli descrittivi, ma all´efficacia di una sintesi che vira verso l´astrazione. Nei paesaggi più ampi, nei quali il linguaggio postmoderno favorisce una lettura scenografica, mai frammentaria, c´è invece un ventaglio di elementi diversificati, naturalistici, prospettici, dimensionati, compositivi, che non invitano ad una fruizione univoca, anche perche gli elementi stessi non sono sempre ricollegabili alla necessità dell´artificio proposto.
C´è comunque in questa rassegna quanto basta per desiderare di vedere e di saperne di più delle foto di Di Sebastiano. La dotta ed intelligente introduzione di Rinaldo Pieri offre utili elementi di riflessione; ma della individuazione di una identità culturale dell´artista e della ricerca di senso delle sue immagini il critico se ne lava "agogicamente" le mani.
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